Protesi d’anca: Una soluzione definitiva o quasi

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La protesi d’anca è l’unica soluzione per eliminare il dolore e ridare una mobilità normale ai soggetti affetti d’artrosi avanzata. Dopo pochi giorni dall’intervento il paziente è in grado di mettersi in piedi e, in breve tempo, seguendo un corretto percorso fisoterapico, di liberarsi da qualsiasi ausilio e riprendere una mobilità completamente libera ed autonoma.

Protesi d'anca

L’articolazione dell’anca è costituita da una parte emisferica, la testa del femore, e un alloggio concavo, l’acetabolo. Le superfici di queste ossa sono ricoperte da uno strato di cartilagine articolare che facilita l’ammortizzazione e i movimenti tra le due facce a confronto. Quando questo tessuto si consuma troppo, l’osso sottostante viene esposto, si formano profonde fessurazioni e neoformazioni, dette osteofiti. Inoltre, la membrana sinoviale s’infiamma ed inspessisce. Queste modificazioni provocano difficoltà nei movimenti e un’algia ingravescente. Questa è l’artrosi.

L’artrosi d’anca colpisce soprattutto le donne oltre i cinquant’anni e in sovrappeso per un’azione lesiva congiunta degli ormoni e del carico in eccesso.

I primi sintomi possono essere messi a tacere con una terapia sintomatologica, soprattutto di tipo antiinfiammatorio ma, quando il quadro clinico si fa sempre più grave e limitante, è bene che il paziente si rivolga ad un ortopedico.

Lo specialista ha il compito di valutare la possibilità, o meno, di eseguire una sostituzione protesica. Il chirurgo analizza l’anamnesi del paziente, la motricità articolare, la forza muscolare, e anche l’atteggiamento generale durante i normali movimenti giornalieri (sedersi, chinarsi,…). Inoltre, ovviamente, bisogna provvedere all’analisi strumentale che, nel caso specifico, consiste in radiografie anteroposteriori e laterali.

protesi d'anca, intervento

Prima dell’operazione il paziente deve:

  1. Perdere i kg in eccesso;
  2. Evitare l’assunzione di farmaci antinfiammatori;
  3. Interrompere l’assunzione della pillola anticoncezionale;
  4. Sospendere l’assunzione di antiaggreganti;
  5. Smettere di fumare.

 

Il primo punto è importante per garantire una riabilitazione rapida e una protesi duratura. Se il soggetto è troppo pesante il lavoro del fisioterapista può diventare molto difficile ed il recupero estremamente lento, se non incompleto. Inoltre l’impianto protesico rischia di danneggiarsi velocemente, come accaduto in precedenza all’articolazione originale.

Gli altri punti si concentrano invece sulla riuscita dell’intervento stesso, riuscita che richiede la limitazione di un sanguinamento eccessivo. Per ovviare a questo grave problema, se le condizioni del paziente lo permettono, nel mese precedente l’operazione, gli viene prelevato del sangue da utilizzare come autotrasfusione in caso di necessità.

Una volta eseguita la protesizzazione, il paziente deve:

  1. Osservare alcuni giorni di riposo a letto;
  2. Indossare calze elastiche antitrombo in vendita in qualsiasi farmacia.

 

La riabilitazione prevede la mobilizzazione, fino alla stazione seduta, in seconda giornata; e fino alla stazione eretta già in terza giornata dal’operazione.
Il terzo giorno inizia anche il programma di deambulazione.

Inizialmente il paziente riprende a camminare con l’aiuto del deambulatore e, successivamente, con 2 stampelle.

Protesi anca, consigli dei medici

Gli ausili devono essere utilizzati fino ai controlli ambulatoriali successivi quando, in base ai progressi evidenziati dal medico, quest’ultimo darà il permesso di abbandonarli.

La durata dell’ospedalizzazione varia, a seconda del quadro clinico del paziente e della sua risposta alla riabilitazione, ma raramente supera i 10 giorni. Dopo le dimissioni, la fisioterapia deve continuare fino a quando il soggetto non ha recuperato appieno la propria autonomia di movimento.

La durata media di una protesi è di poco superiore ai dieci anni. La maggiorparte dei pazienti, di conseguenza, anni dopo il primo intervento, deve subire una seconda operazione di espianto della vecchia e impianto della nuova protesi.

Il secondo intervento è più impegnativo e demolitivo del primo ma permette comunque, dopo un’adeguato ciclo fisioterapico, il ritorno ad una mobilità autonoma e non dolorosa.

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