Mutismo selettivo, i sintomi e la terapia

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Il mutismo selettivo è un disturbo raro che si presenta durante l’età infantile. Il bambino non parla in alcune situazioni oppure, ha visibili difficoltà a parlare in modo corretto. Vediamo quali sono le cause e i possibili contesti in cui il bambino non parla e ovviamente, quali possono essere le giuste terapie.

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Si parla di mutismo selettivo quando il bambino è incapace a parlare o esprimersi correttamente in alcuni contesti, e il saper parlare bene in altre situazioni. La scoperta di questo disturbo risale al 1877, grazie a Kussmaul. Lo definì inizialmente come “aphasia voluntaria”. In pratica i suoi pazienti sceglievano volontariamente di non parlare in determinate situazioni. Il termine mutismo elettivo risale al 1934 e fu Tramer a coniare questo termine. Voleva specificare che questo problema si manifesta solo in alcuni ambienti (come la scuola ad esempio), o quando ci sono davanti alcune persone. Ecco poi che, venne inserito nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM), insieme ai disturbi dell’ansia e con la fobia sociale.

Sintomi del mutismo selettivo

Il sintomo è l’incapacità di esprimersi all’interno di un determinato contesto sociale, solitamente fuori dalla sfera familiare. E’ una cosa che va oltre la semplice timidezza e va distinto da essa. Il bambino infatti non sa esprimersi in quei contesti che suscitano in lui l’ansia. Sono pochi i contesti in cui il bambino riesce a esprimersi in maniera corretta. Solitamente comunque, prova un reale desiderio di parlare, ma riferisce poi che in quelle circostanze prova un “groppo alla gola” e quindi non si sente sereno a parlare.

Quando un estraneo gli rivolge parola, ecco che gira la testa dall’altra parte, si dimostra impacciato e con lo sugardo assente. Si tocca spesso i capelli. Parlano poi di un bisogno di nascondersi forte. Arriva a rispondere solo con dei gesti, magari indicando con le mani, annuendo con la testa o facendo dei segni.

Chi soffre di mutismo selettivo, ha disturbi ansiosi, quindi manifesta una certa rigidità alle braccia, la testa curvata verso il basso e lo sguardo fisso nel vuoto o evasivo. Tra gli altri sintomi vi è l’attaccamento eccessivo verso i genitori o solo uno dei due, l’ansia da separazione, disturbi alimentari o del sonno, attacchi di rabbia e isolamento. Il bambino può soffrire anche di enuresi notturna, cioè il bagnare il letto, e la difficoltà a prendere sonno.

Parlano le statistiche

Il mutismo selettivo colpisce, seppur raramente, i bambini. Negli adulti è molto raro e viene stimato che solo l’1% di tutte le persone che ne soffrono, sono appunto persone adulte. Compare solitamente tra i 3 e i 5 anni, tuttavia può presentarsi anche tra i 6 ei 10 anni o nel periodo adolescenziale tra gli 11 e i 13 anni. Si tratta generalmente di un disturbo destinato a sparire, in quanto è legata a un disagio psicologico, solitamente da collegare al carattere del bambino molto timido o introverso. Anche il rapporto familiare con i genitori può influire.

Quasi sempre il bambino con mutismo selettivo non parla nel contesto scolastico o quando sono presenti estranei. Gli esperti poi, parlano del fatto che sono colpite soprattutto le bambine, con un rapporto con i maschi di 2:1.

Diagnosi

Considerando che il mutismo selettivo viene spesso scambiato per la timidezza, è comune il diagnosticare in ritardo il problema, più o meno verso gli otto anni. Una volta fatta la diagnosi corretta, lo specialista dovrà impostare una strategia terapeutica per evitare che vi siano conseguenze quali portarsi questo disturbo anche in età adulta o all’isolamento sociale.

La diagnosi non può essere fatta dai genitori o in maniera sommaria, in quanto devono intervenire un team di medici quali pediatra, neuropsichiatra infantile e altri. Inizialmente viene fatta la diagnosi differenziale, dopo una nuova diagnosi basata invece sui criteri del DSM. Nella diagnosi differenziale gli esperti dovranno assicurarsi che il bambino non soffra di disturbi del linguaggio, che non sia affetto da una forma di autismo, che il problema non abbia origine nella lingua parlata (può accadere per i bambini stranieri), che non vi siano patologie psichiatriche come la schizofrenia, il ritardo mentale o un disturbo psicotico.

Secondo i criteri della DSM invece, la diagnosi viene fatta valutando l’incapacità che il bambino sperimenta in determinati contesti sociali. Quanto il bambino si esprima correttamente in un contesto “amico”. Gli specialisti dovranno appurare che il disturbo duri da più di un mese e che non vi siano disturbi mentali.

mutismo selettivo

Come superare il mutismo selettivo

Si tratta di un disturbo transitorio e per questo motivo non necessita solitamente di nessuna terapia. Sta alla famiglia e al contesto scolastico avere qualche accorgimento in più. In altri casi gli specialisti possono optare per una terapia cognitivo-comportamentale, soprattutto quando il disturbo non accenna a sparire da solo e continua a manifestarsi anche nell’età adolescenziale. Si tratta comunque di un evento piuttosto sporadico. Solitamente il medico non sceglie il trattamento farmacologico visto che si parla di bambini ma, sarà l’esperto a valutare caso per caso.

I genitori che hanno un figlio che soffre di mutismo selettivo devono assumere alcuni comportamenti positivi che aiuteranno il figlio, come ad esempio il non sgridarlo davanti a estranei quando non parla. Forzarlo o minacciarlo servirà solo ad aumentare lo stato ansioso.

Il genitore dovrà assolutamente evitare di promettergli regali se si decide a parlare e ovviamente è importante non far percepire l’ansia e l’agitazione quando il bambino all’improvviso parla con estranei. Il genitore deve invece stimolare la comunicazione non verbale attraverso i gesti, così da far sentire il bambino sicuro, non mettendo invece in risalto l’importanza di parlare per una vita sociale corretta. Altrimenti l’unico risultato ottenuto è quello di aumentare l’ansia.

Come abbiamo detto però, anche il contesto scolastico gioca un ruolo importante. Gli insegnanti infatti devono essere avvisati del disturbo, così da stilare un piano individualizzato d’insegnamento e garantire la progressione del bambino nell’ambito scolastico. Aiuta anche a ridurre l’ansia, grazie alla comunicazione alternativa.

Vanno poi favorite le interazioni con gli altri bambini, durante le ore di lezione e quelle creative. Gli insegnanti devono comunicare verbalmente e non verbalmente con i bambini, così da aumentare in loro la sicurezza e ridurre il senso di disagio. Se il bambino riesce a comunicare il proprio disagio anche non verbalmente, è già un primo passo importante.

L’insegnante può proporre ai genitori di presentarsi in classe con il figlio prima di tutti gli altri, così da permettere al bambino di interagire meglio con l’ambiente, l’insegnante e le interazioni appunto tra insegnanti e genitori. Gli insegnanti devono far sentire il bambino a suo agio, senza far percepire la loro speranza che lui parli.

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